GARS: CRONACHE “PESARINE”, SAPPADINE E GIULIANE
Anche questo inverno è strano: di quelli con scarso innevamento, inattesi venti caldi sulla pelle e un bel firn che aldilà della goduria sciistica dovrebbe destare preoccupazione. Sorvolando un momento sulle riflessioni apocalittiche che sorgono dopo lunghi fine settimana di attività invernale, voglio raccontare brevemente di alcuni attimi di montagna, piccoli cocci di un quadro non ricostruibile poiché come sempre, sepolto nella memoria. Però nel raccontare spero sempre qualcuno possa incuriosirsi e ripercorrere questi momenti spesso lontani dal grande marasma della folla.
Innanzitutto la “forca alta di Culzei” nel “Cadin delle vette nere”.
Ringrazio tanto l’amico “Cup” per aver condiviso con me ed altri 4 grandiosi sciatori questo suo sogno. Le vette nere si trovano tra il passo Siera e quello del Creton dell’Arco nelle Dolomiti Pesarine.
Da Sappada raggiungerle può essere impegnativo in condizioni di freddo repentino e scarso innevamento, condizioni sfavorevoli che noi fortunatamente non abbiamo trovato. Dirò solo che il silenzio che ci ha avvolti qui, è di quelli che fanno paura perché non esistono più. Troppo spesso colmiamo il silenzio con il rumore, siamo atterriti dal vuoto: l’amico Gianluca lo definisce un vero e proprio horror vacui nella società moderna. Lascio a coloro che amino le avventure (e non necessariamente le grandi sciate su questa tanto abusata “polvere”) la curiosità, sperando diventino ebbri di quel silenzio tanto maltrattato.
Poi il primo ghiaccio, quello della val Enghe, abbandonata dal fiume Piave tra un bella croda e il gruppo delle terze.
Giulio arrampica su ghiaccio per la prima volta e pare l’abbia fatto infinite volte, Giovanna si prende l’unico zaino e rimuove tutto il materiale lasciando che il novizio possa gustarsi al meglio l’esperienza.
Ne vengono fuori 3 tiri di corda su una sorta di goulotte, “stella e lucciole”. In un totale isolamento, lontani ore dal paese, saliamo una bella e breve candela perfettamente formata per poi ritirarci al cospetto di una struttura talmente fragile da sembrare collassare sotto il suo stesso peso.
Infine la forca del Palone dai piani di Montasio, questa volta di nuovo con gli sci ai piedi.
Dirò solo che sulla cima (a parte lo stupore del rimirare la mitica forcella Mosè che dà sulla Spragna, la Nabois e l’eterna Cengia degli dèi) trovo sulla sinistra una torre dalla quale sbuca un volto talmente accurato nei dettagli che pare staccarsi dalla roccia. Mi piace pensare che il Montasio abbia una coscienza propria e animi dei personaggi che vegliano su coloro che si inerpicano sulla sua pelle. Mi è capitato con la sfinge del Montasio quando salivo con Ester e lo zio la via di Dogna, mi capita ora a cavallo della sua lunghissima cresta.
Mauro Dall’Argine